Dobbiamo davvero dormire 8 ore al giorno per poter stare bene durante il giorno?

Tutti conoscono la raccomandazione di dormire tra le sette e le nove ore a notte, una linea guida ripetuta così frequentemente da sembrare un dogma. Dormire meno di questo intervallo, ci dicono, aumenta il rischio di problemi di salute a breve e lungo termine: difficoltà di memoria, disturbi metabolici, depressione, demenza, malattie cardiache e un sistema immunitario indebolito.

Negli ultimi anni, però, gli scienziati hanno identificato una categoria rara di individui che dormono costantemente poco, senza soffrire di conseguenze negative.

Questi individui, definiti natural short sleepers (dormitori naturali brevi), sono geneticamente predisposti a necessitare solo 4-6 ore di sonno a notte. La loro esistenza suggerisce che la qualità del sonno potrebbe essere più importante della quantità. Comprendere cosa li distingue dagli altri potrebbe, sperano gli esperti, svelare nuovi segreti sulla natura stessa del sonno.

La scienza del sonno: un processo attivo e complesso

Tradizionalmente, si pensava che il sonno fosse un periodo di riposo, simile allo spegnimento di un computer per prepararlo al lavoro successivo. Personaggi come Thomas Edison, che definiva il sonno una “perdita di tempo”, dormivano solo quattro ore per notte, promuovendo abitudini di riposo ridotte. Tuttavia, ricerche moderne dimostrano che il sonno è un processo attivo, durante il quale il corpo e il cervello recuperano energia, eliminano tossine, consolidano i ricordi e regolano i sistemi interni.

La privazione cronica di sonno può avere conseguenze gravi, e la nostra comprensione del sonno si basa in gran parte sul modello dei due processi, introdotto negli anni ’70 da Alexander Borbély. Questo modello combina il ritmo circadiano, governato dalla luce e dal buio, e l’omeostasi del sonno, guidata dalla pressione interna che si accumula quando siamo svegli e diminuisce durante il riposo.

Il fenomeno dei “natural short sleepers”

In collaborazione con Ying-Hui Fu, genetista e neuroscienziata, il neurologo Louis Ptáček dell’Università della California a San Francisco ha studiato individui con cicli di sonno particolarmente brevi. Alcuni presentavano mutazioni genetiche specifiche, come quella nel gene DEC2, che regola il livello di orexina, un ormone legato alla veglia. Queste mutazioni sembrano rendere il sonno più efficiente, permettendo di ottenere gli stessi benefici in meno tempo.

I ricercatori hanno identificato altre mutazioni genetiche associate al sonno breve, come quelle nei geni ADRB1, NPSR1e GRM1, dimostrando che tali mutazioni influenzano aree del cervello coinvolte nella regolazione del sonno e della veglia. Esperimenti su modelli animali hanno mostrato che i topi con queste mutazioni dormono meno senza effetti negativi sulla salute.

Efficienza del sonno e protezione contro malattie

Gli studi suggeriscono che i natural short sleepers siano più efficienti nel rimuovere aggregati tossici dal cervello, come le placche amiloidi e i grovigli di tau, associati a malattie neurodegenerative come l’Alzheimer. Inoltre, questa capacità potrebbe estendersi ad altre condizioni legate alla privazione di sonno, come malattie cardiache e diabete.

Questi individui sembrano non solo resistere agli effetti negativi del sonno ridotto, ma anche eccellere in resilienza, ottimismo e ambizione. Alcuni ricercatori ipotizzano che i natural short sleepers abbiano una maggiore “spinta comportamentale”, un fattore che potrebbe influenzare un aggiornamento del tradizionale modello del sonno.

Nuove frontiere nella ricerca sul sonno

Gli scienziati stanno ora esplorando modi per migliorare la qualità del sonno per tutti, prendendo ispirazione dai natural short sleepers. Tecniche come la stimolazione acustica durante il sonno profondo hanno mostrato risultati promettenti nel migliorare la memoria senza alterare la durata del riposo.

Tuttavia, è essenziale riconoscere che il fabbisogno di sonno varia da persona a persona. “Pretendere che tutti debbano dormire otto ore a notte è come dire che tutti devono essere alti un metro e settanta”, afferma Ptáček. “La genetica non funziona così”.

In sintesi, il sonno non è solo una questione di quantità, ma di qualità ed efficienza. Riconoscere queste differenze potrebbe aprire la strada a interventi personalizzati per migliorare la salute e il benessere di ciascuno.

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